In nome del popolo sovrano. Resistenza, Democrazia, Religione e varie altre credenze e amenità popolari.

Il giorno della Liberazione dai nazifascisti alcuni amministratori locali dichiarano l’inconsistenza partigiana incensando il salvatore americano laddove non rilanciano con stizza un revanscismo che equipara vittime e ideali dei resistenti a quelli dei repubblichini. Ad esempio, il consigliere comunale di Catania Puccio la Rosa rende omaggio a tutte le vittime il 25 Aprile al monumento ai Caduti e presenzia  alla messa in suffraggio al duce giorno 28. A Roma e Milano, come in altre grandi città, aperte contestazioni sfidano le commemorazioni ufficiali che tentano di suturare una ferita che sotto la cute è ancora ben aperta e cova infezioni, pus e cancrena. Il cosiddetto giorno della  Liberazione è ormai privo dei suoi protagonisti, che lentamente si spengono, e lascia invece spazio a chi i fascisti molto spesso li ha visti solo in TV. Il pericolo è non solo la deformazione, di una storia già martoriata, ma il suo allontanamento dalla odierna realtà. Questo potrebbe diventare l’inizio di uno spontaneo tentativo di provar a rimettere al proprio posto e al giusto senso un mitizzato evento che è divenuto formalità priva di sincera sostanza. Un attacco dove a essere colpiti non sono unicamente i soliti fascisti e revisionisti di ogni sorta ma anche il dogmatismo conservatore che è presente in ogni fazione delle istituzioni, comprese in particolar modo le sinistre.
L’autoritaria società del profitto dorme sonni tranquilli e a custodirla c’è la cosiddetta sinistra; un ampio spettro di partiti, sindacati, associazioni pronti ad irregimentare il popolo in una religiosa concezione dell’esistente facendo sponda ad una destra che, sempre meno ambigua, alla luce del sole mostra la sua reale natura fascista. Ammorbati da formalità, logiche di partito e di potere, la resistenza è stata già sostanzialmente demolita, impossibile dunque non convenire con gli squadristi che inquadrano così la situazione in un manifesto “25 aprile: un’ idea è al tramonto, quando non trova più nessuno capace di difenderla”.

 

In Nome Del Popolo Sovrano

Resistenza, Democrazia, Religione e varie altre credenze e amenità popolari.


Sessantacinque anni son sufficienti a far sbiadire qualsiasi cosa non venga alimentata e rinnovata in modo adeguato. La memoria si perde cristallizzandosi in spot celebrativi e si concentra sulle attuali esigenze tramite vuote commemorazioni circondate da corone di alloro, idealizzando fatti che nel passato erano permeati di sangue, lacrime e fango. La prima illustre vittima è il significato dell’evento, il suo contesto, la sua stessa spinta prima ancora degli avvenimenti in se stessi. Lassù, nascosti sui monti, bagnati fradici, nell’attesa snervante dell’azione si era pronti a sacrificare la vita, un bene che nessuno vorrebbe gettare al vento, dal più pio al più infame, un bene che deve avere una valida quanto pesante e necessaria contropartita nella bilancia di una scelta estrema.. Uccidere o essere ucciso. Perchè mettersi di fronte ad una sceltà così tragica se non per un reale bisogno, per un impellente necessità di cui non si può fare a meno. Il rifiuto totale di un sistema castrante, che affama e rende miseria, così ipocrita e soffocante nella sua retorica assassina, imponeva l’ardua sceltà: impugnare le armi nella disperazione e tentare di cambiar tutto anche se “..è già tanto se non finiremo in prigione..”(cit.). Adesso un colpo di spugna ha lasciato in piedi solo roboanti dichiarazioni non tanto dissimili poi dalla retorica che con le armi si era decisa di combattere. Il rispetto delle regole è divenuto il preziosissimo alleato della reazione e la democrazia è diventata, più che discutibile metodo, un valore tradizionale a cui votarsi senza l’uso della ragione, ma a cui Credere come divino mistero. L’immaginario comune ha creato precetti indiscutibili come la Trinità della democrazia o l’Immacolata Concezione del Che Guevara ammantandoli di un sacro conformismo, sciocchezze degne del peggior tradizionalismo diventano, per alcuni autoproclamatisi progressisti, battaglie fondamentali per la difesa del bene comune, una sorta di resistenza che capovolta non è ribellione ma, in egual misura ai precetti destroidi o fascisti, becera reazione.

Solo concentrandoci in questo quadro ancora sfocato riusciamo a sostenere la visione di giovanotti che con leggerezza indossano magliette con l’effige di un militare che sventrava i suoi nemici in più parti del globo e sentirli pronunciare assurde invocazioni contro la violenza di una scritta sul muro, contro l’efferratezza di uno slogan e via dicendo. E’ in questo quadro che la sinistra diventa un nuovo cattolicesimo, la democrazia la sua chiesa e la difesa della costituzione pari alla difesa del suo vangelo. La sua stupida liturgia si trasforma in un evento che non si può interrompere o cambiare ma che invece deve rimanere tale, immutato nei secoli,  fino allo stravolgimento del suo significato originale. Se non fosse una reale aberrazione che contribuisce al nauseante svolgersi dell’esistente sarebbe un cabaret da seguire svogliatamente con risate non particolarmente pronunciate, ma essa è la misura del reale e, anche se rinunciamo ad interessarcene, resta sempre lì, pronta a dimostrarci quanto inutili siano gli sforzi nel tentare di cambiare questa ributtante società. Ed è così che non può smuovere genuina rabbia osservare come ad un comizio dei partigiani sia invitata a cianciare, per confondere le acque, una neo eletta presidente della regione Lazio, una che ha festeggiato la sua vittoria a braccio teso senza rinnegare cio che è. Non nasconde di essere una mortale nemica di quei partigiani, una fascista, che dietro i suoi discorsi intrisi della legalità bipartisan agisce da infame liberticida. Ma intanto commemora i suoi nemici, magari col sorriso sulla faccia pensando che mentre loro son sottoterra lei e i suoi compari godono di buona salute. Se qualcuno si azzarda a far scomparire quell’odioso ghigno rispondendo con sdegno, fuori dall’ordinario, ad un ignobile invito, fuori dall’ordinario, allora il gioco è fatto. La religiosa concezione grida all’eretico e fuori dal tempio ad essere scacciati non sono i nemici fascisti, a cui un tempo si sparava non chiedendo una carta bollata di legalità, si sbudellava e si lasciava penzolare a testa in giù senza pretendere che se ne facesse norma scritta, ma i pochi che magari tentano di coltivare una memoria oppure di non perdere una identità messa a dura prova dagli eventi. L’ANPI minaccia di escludere i centri sociali (presi nel mucchio come esempio mitizzato di contestatori) rei di aver lanciato ortaggi contro i fascisti, stigmatizzando con le mani sporche del sangue dei neri, la violenza del pomodoro e del limone, così finalmente la stagione del revisionismo finisce. Il cerchio si chiude, si mette una croce sopra i vecchi rancori, nazifascisti e partigiani possono riconciliarsi aspirando ad un egual posto nella storia, che impietosamente può riproporre la barbarie dei regimi nazionalisti adesso retrocessi a insulsi eventi senza alcune ripercussioni. Ma quello che è ancora più difficile da sopportare è che restano ben saldi alcuni vuoti cocci inservibili, come il mito della rivoluzione, venduto in serie su magliette stampate, cantato in festosi bellaciao ed esposto in vacui ed altisonanti slogan non certo come reale cambiamento dell’assetto societario, che comporterebbe sofferenze, sangue, lacrime sudore e sacrifici quanto invece come simulacro utile a darsi una collocazione di attore protagonista nella società dello spettacolo. Il pacifismo e il buonismo spiattellati a tutti i costi e ad ogni occasione nascondono come sempre sotto le tonache dei vescovi della sinistra l’ipocrisia del potere. Evidenziano il cinismo che campeggia nell’assoluto silenzio sulle continue violenze perpetrate dalle istituzioni e assottigliano le ormai misere differenze con il resto della classe dirigente che si fa forte, propugnando la violenza sui deboli e incitando l’anima nera e intollerante della gente. La sinistra ha perso il suo significato non solo spegnendo ribellioni, perdendo contatto con la gente per strada e diventando rigorosa e immobile istituzione, piegandosi così alla corruzione del potere e diventandone ingranaggio fondamentale, ma anche trasformandosi da alternativa ribelle a religiosa reazione ed è per questo che noi possiamo oggi dire di non avere nulla a che fare con essa.

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