A 6 mesi dal varo del pacchetto sicurezza – Leggi contro l’umanità

Leggi contro l’umanità

L’istituzione del diritto, che sia penale o no, condiziona la vita di ogni essere umano sulla terra e spesso costringe questo a subire pene o sanzioni, termini cari al mondo giuridico. Dell’exploit repressivo sono vittime i molteplici soggetti che, decidendo di spezzare le dinamiche di oppressione e sfruttamento quotidiano, provano a porre fine ai miseri compromessi imposti dalla società e per questo vengono connotati come sovversivi o semplicemente pericolosi.

Oggi risulta lampante la volontà, da parte delle istituzioni, di relegare a condizioni di prigionia o di miseria le fasce più deboli della società, partendo da un ceto che una volta si vantava d’esser proletario, passando per i migranti alla ricerca di una vita degna di essere chiamata così e finendo con chi combatte una guerra mai ufficialmente dichiarata, una guerra per la libertà di tutti e di tutte. Tutti questi individui sono potenzialmente letali per la sopravvivenza dello Stato, rappresentano quella polvere nera che può dar vita a gigantesche esplosioni portatrici di cambiamento radicale.

E quale codice di leggi, se non uno di origine fascista come quello italiano, può meglio scandire i tempi e i modi della repressione? Ecco come il diritto, e nella fattispecie l’entrata in vigore del pluridiscusso Pacchetto Sicurezza, non tarda ad aggravare le condizioni di vita, già precarie, dei soggetti che non usufruiscono del benessere garantito dal Capitale a tutti gli sfruttatori d’ogni risma.
Dichiarare false generalità ( art. 495 e derivati ), proprie o di altri, non per capriccio ma per tentare di evitare una lunga prigionia o di fatto un esilio, diventa un reato che può costare da due a sei anni. Non di meno è punito un gesto, estremo a dir poco, come quello di menomarsi ( bruciarsi le dita per cancellare le impronte digitali ) pur di risultare invisibile agli occhi della repressione. Basterebbe questo per evidenziare come il diritto sia lungi dall’essere uno strumento a favore di tutti ma, bensì, arma a disposizione dello Stato per estendere la proprio autorità su chiunque risulti non adatto alla sopravvivenza dello Stato stesso.

Il controllo sociale è in continuo crescendo, non risulta quindi tollerabile che dei clandestini, la cui colpa è non possedere dei documenti che riconoscano il loro status di esseri umani ( anche se averli non è poi minimamente sinonimo di libertà, tutt’altro. ), possano sfuggire alla meta ( c’è chi la definisce piacevole soggiorno ) designata dalle istituzioni : lager per stranieri, galere e odierni manicomi.

Si è parlato di autorità, tratto saliente dell’istituzione statale, aspetto che ovviamente non è stato tralasciato dalle recenti disposizioni in materia di sicurezza. I cani da guardia che mordono le caviglie degli sfruttati, per risultare effettivamente autorevoli ( ma diciamo anche autoritari ) devono poter godere di status privilegiati, agevolazioni che li elevino a posizioni di intoccabili, facendoli sembrare invincibili. Non stupisce quindi il ritorno dell’art. 341, articolo che spesso ha macchiato, prima dell’abrogazione nel 1999, la fedina penale di chiunque si sia permesso di rivolgere il proprio dissenso, in maniera orale o scritta, agli aguzzini delle forze dell’ordine.
Spesso le aggravanti hanno un ruolo molto chiarificatore del reato stesso e, in questo caso, l’aggravante consiste nel recare offesa al pubblico ufficiale dinnanzi a una o più persone. Ancora una volta il diritto si erge a protettore onnipotente della salvaguardia dell’esistente, risulta quindi lecito essere puniti per aver osato pronunciare o metter per iscritto un insulto ma è cosa più grave far lo stesso in presenza d’altri! La paura ancestrale che attanaglia lo Stato è quella della generalizzazione del dissenso, della polverizzazione degli attacchi verso i propri emblemi. Così, un oltraggio in presenza di altre persone potrebbe diventare una miccia ben più pericolosa di un insulto, potrebbe scatenare altrettanti oltraggi o reazioni ben più pesanti, sminuendo così sotto gli occhi di tutti lo status privilegiato dei tutori dell’ordine.

Vivere a Catania ci ha permesso di assistere, e prendere parte, ad un evento che, in seguito, si scoprirà essere stato sufficiente a far notificare denunce per presunti oltraggi. Di cosa parlo? Parlo di compagni/e che, stufi del controllo capillare dei funzionari digos, e non solo alle iniziative di piazza, decidono di esprimere il proprio rifiuto verso questi aguzzini, deridendoli sotto gli occhi di tutti. Ancora una volta si configura la dinamica scatenante di questo preciso reato : il potenziale contagio del dissenso, provocato non da uno sterile insulto ma da una netta consapevolezza nell’individuare i difensori più fedeli delle istituzioni repressive.

Guai se l’oltraggio si tramuta addirittura in vilipendio, come nel caso degli insulti riservati dai compagni di Rovereto agli alpini durante una loro parata a Trento. Chiamare questi mercenari con i loro nomi, ovvero assassini e guerrafondai, scuote la quiete pubblica e spezza le tradizionali dinamiche di deferenza verso le forze dell’ordine, esportatrici di morte in tutto il mondo come nel caso dei nostrani alpini. Stavolta il pm di Trento ha decretato che l’atto di contestazione in questione fu solo un atto di dissenso, tutelato dalla costituzione tramite l’art.21, e quindi non passibile di reati quali oltraggio o vilipendio. Che forse, in un lampo di lungimiranza, si sia capito che dire assassino a chi lo fa di professione è solo un atto razionale e generato da precise convinzioni? Come sarebbe dire a un panettiere che fa il pane?


Si faccia bene attenzione, questa non è una vittoria anche perché, di vittorie come queste, non abbiamo proprio che farcene. E soprattutto è ovvio che i compagni non hanno bisogno di assoluzioni per colpe inesistenti o rassicurazioni da parte di un diritto che ci è solo nemico, questo è chiaro come il sole.

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