In alto mare…

In alto mare…

E’ la solidarietà che ci mantiene liberi, anche se imprigionati. L’oblio, al contrario, è una forma di morte per il prigioniero, visto che i giorni non trascorrono come dovrebbero, ma s’impoveriscono, divengono più piccoli e si svuotano di qualsiasi contenuto.”

(Prigionieri membri della Cospirazione delle Cellule di Fuoco)

Il continuo passare del tempo scandisce ogni giorno lo scorrere delle nostre vite al servizio dei propri  futili interessi: il proprio lavoro, l’arricchimento personale, i propri sentimenti, l’affermazione personale e così via….
Quando qualcuno o qualcosa intralcia il nostro cammino emettiamo qualche flebile lamentela e poi passiamo oltre, rassicurati dalla nostra stessa impotenza. D’altronde uno sguardo posto oltre il nostro giardino, potrebbe costringerci a vedere che è la nostra indifferenza ad armare gli aerei che bombardano il popolo nemico, che è il nostro menefreghismo che uccide gli stranieri che entrano nel nostro paese, che è la nostra cecità ad alimentare una guerra tra poveri ormai sempre meno strisciante. E’ sempre la nostra quiescenza ad alimentare la disoccupazione, a compromettere la nostra istruzione a  distruggere il nostro ambiente, ad avvelenare aria, terra e acque, ad impoverire le nostre tasche ed il nostro cervello.

Qualche sciocco crede ancora che basti qualche protesta, qualche firma su un pezzo di carta, qualche crocetta su una scheda per salvarci dal baratro in cui inevitabilmente cadiamo. Qualcuno, che si sente più furbo; addossa la colpa ai rappresentanti delle istituzioni, scaricando via ogni responsabilità. Ma se le istituzioni funzionano come perfetta mente che dirige le operazioni, la nostra inattività non fa altro che renderci valide braccia al suo servizio.
Quando qualcuno esce fuori dagli schemi prestabiliti, spezzando il vile ciclo dell’indifferenza con una solidarietà materiale fatta di azioni dirette, diventa immediatamente bersaglio della vendetta statale. E’ il caso degli anarchici del Fuoriluogo di Bologna o degli studenti di Firenze accusati di essere delinquenti per aver osato indicare chi  è che procura a tutti schiavitù e lutti. Bastano proteste ed imbrattamenti per guadagnare anni di carcere esattamente come succede in Tunisia, Egitto, Siria…
Nonostante gli intenti e le idee siano ormai sufficienti motivi per essere considerati socialmente pericolosi, non abbiamo paura di attestare la nostra solidarietà a tutti i compagni inquisiti, di contribuire, in diverse forme, al loro sostegno e di solidarizzare con loro.

Gli unici terroristi, socialmente pericolosi, sappiamo bene dove si trovano, li vediamo puntualmente sugli schermi televisivi o ad affollati comizi elettorali. Sono loro che davvero delinquono ogni giorno, portando guerra e sfruttamento in tutto il mondo, con il beneplacito di chi, ormai privo di senso critico, li sostiene con convinzione.

L’unico crimine che perpetriamo è la libertà!

 

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Sabato 7 Maggio @ Cpo Experia via verginelle

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Va in scena lo spettacolo dell’emergenza

Mentre in Libia le proteste e la repressione si avvitano sprofondando verso la guerra civile, questo diventa il momento propizio per cominciare un ennesimo show da parte di un governo abituato alle leggi dello spettacolo e del branding pubblicitario e di un opposizione che relega al prudente tacito assenso l’incremento del proprio consenso elettorale. Si susseguono dichiarazioni-spot che parlano di esodi biblici e catastrofi umanitarie, “caduta la diga Libia verremo presto inondati da una marea di migranti…”

Così dopo aver strillato sulla sciagura imminente il governo, fingendo impreparazione, fa scelte atte a surriscaldare gli animi e a creare una finta emergenza, in cui estendere incontrastato il proprio dominio. E’ il caso di Lampedusa dove i ponti aerei e i trasferimenti via nave improvvisamente smettono di funzionare,  circa 19.000 migranti transitano in  più di due mesi sull’isola portando all’esasperazione una comunità di 5000 anime con tutto quello che ne comporta.

Appare chiaro che aizzare l’animo nero della folla e istituzionalizzare il razzismo a pratica e sentimento quotidiano siano il tributo di sangue che lo Stato chiede  alla società, per dimostrare all’Europa che non riesce a sostenere la pressione dei flussi migratori. Il movente è altrettanto indubbio, sarebbero i fondi che l’Europa potrebbe elargire all’Italia per fronteggiare la presunta emergenza (è lo stesso ministro dell’interno ad ammettere tutto senza provocare nessun sussulto ad una popolare trasmissione politica).

Nulla di nuovo da una politica che ormai si nutre di emergenze e solo grazie ad esse riesce a mantenere saldo il controllo sociale, d’altronde la popolazione è esausta e le normali leggi non bastano a gestire il malcontento. Nulla di nuovo da un sistema disumano che tratta esseri, idee e dignità come merci da vendere e comprare… il vero problema è sito nell’assuefazione e nella compenetrazione che il sistema politico e mediatico ha sulla società, rendendo i telecittadini sempre più disponibili a guerre tra poveri, tra etnie, tra religioni, culture… Ed è in questa cornice che ritroviamo ronde di cittadini pronti ad acciuffare clandestini in fuga dalla tendopoli di Manduria per poi  ricacciarceli dentro con la forza. Invece alcuni  lampedusani sono pronti ad applaudire la sfilata del politico di turno mentre impediscono lo sbarco ai migranti reduci della  perigliosa traversata. Per non parlare di tutte le autorità politiche che hanno giocato al rimpiattino trattando le persone come pacchi indesiderati da rimandare al mittente, laddove come a Genova non si è risolto il problema, dando direttamente fuoco alle strutture per evitare di ospitare i tunisini, quasi come fossero portatori di peste bubbonica. Pregiudizi e paure si alimentano tramutandosi in razzismo anche laddove era impensabile. L’infantilità del meccanismo è palese la MIA terra, la MIA casa, il MIO lavoro… frasi che starebbero bene solo in bocca a poppanti, diventano una giustificazione accettata e ripetuta da una popolazione ignorante e servile. Di che proprietà vanta diritto chi ha permesso supinamente che il territorio in cui vive sia ricettacolo di nocività, petrolchimici e raffinerie, discariche ed inceneritori, che possesso si reclama sui campi che  qualcuno ha avvelenato con radar, trivelle, piloni d’alta tensione e ripetitori, che esclusività si gode su mari trasformati in fogne e depositi di scorie chimiche.  Di quali case si parla? Forse di quei cubi di cemento in cui è stata tolta la possibilità di guardare l’orizzonte, forse quelle gabbie con 4 alberi, oasi in un deserto di asfalto, acciaio e gas di scarico. Mentre pochi uomini guadagnano quanto intere popolazioni, di che lavoro si ciancia? Di quel “nobile” ricatto che frutta malattie e morte in cambio di 4 soldi, parlano di quel lavoro che perderanno se non accetteranno di essere sfruttati per più ore possibili e con minor ricavo possibile?

Nessuno si è lamentato più di tanto, nessuno ha combattuto ma ha anzi accettato con il proprio voto di rimettere nelle mani altrui tutto ciò che aveva, parcellizzando e delegando la propria salute, la propria socialità, il proprio benessere.

Certo è difficile capire che la proprietà esiste solo perchè pochissime persone verticisticamente possano comandare tutte le altre, ma il cittadino illuso, abbagliato dallo Stato e dal luccichiò delle ricchezze, che il capitalismo finge di offrire, crede come proprio qualcosa che non lo è e su cui non si ha nessun diritto decisionale.  Così vittime silenti, e spesso ignare, di continue imposizioni si trasformano in infanti soldatini pronti a difendere gli averi di cui ci si è sempre disinteressati, solo adesso che sono minacciati dal pericoloso barbaro.

Mentre vengono allestite tendopoli, instaurati Super Cara* , riempiti Cpa e Cie, si profila una nuova vittoria per i padroni della democrazia da televoto e della cultura delle soubrette. Il governo riesce perfettamente, anche nell’obiettivo di indurre confusione, e così capita di vedere le scialbe e sinistre opposizioni antirazziste manifestare insieme a  gruppi neonazisti come Forza Nuova o a sfilare con sindaci opportunisti che non vogliono stranieri** ma che mascherano la loro intolleranza con motivi umanitari***. Chi in tutto questo gran ciarlare caritatevole, ha mai discusso sui metodi in cui la comunità internazionale come ad esempio HCNUR smista i migranti bollandoli come rifugiati o clandestini, o come il governo divide i regolari dagli irregolari? Per capire cosa si cela dietro dichiarati intenti umanitari ad esempio basta vedere che son dei patti bilaterali ed economici a stabilire gli afflussi nel nostro paese. La Tunisia teatro di continue rivolte e repressioni è un paese politicamente instabile e in grave crisi economica, dove la vita dei giovani è continuamente in repentaglio allora perchè chi proviene da lì viene classificato come clandestino e non come rifugiato? Che fine hanno fatto le roboanti dichiarazione dei governanti UE che invocano a gran voce il rispetto dei diritti civili sulle popolazioni dei paesi africani sotto dittatura? La pietistica maschera indossata dallo Stato cede per rivelare gli affari che il suo ripulito lessico nasconde. A far da padrone nascosti da “interventi umanitari” e “villaggi solidali”, sono sempre i vecchi e cari soldi, pronti a stabilire la rispettabilità di una persona dove le appartenenze alle nazioni servono a garantirle.

E se non hai le carte in regola sei un criminale, che conviene internare o cacciare, anzi bisogna ringraziare l’uso moderato della forza perchè alcuni eminenti onorevoli, se avessero carta bianca, ti  vorrebbero anche fucilato sul posto, è così, ammettono, che funziona nei paesi civili…(Come fanno gli spagnoli a Ceuta e Melilla)

Chi in tutto questo bailamme di dichiarazioni contrastanti, soluzioni “finali” e (in)differenti posizioni si è mai chiesto con che diritto si punisce una persona rea solamente di essersi spostata dal luogo in cui è nata ad un altro. Ah già ma è l’indiscutibile diritto dello stato, la cosiddetta giustizia, quella che propugnano coloro che sono fedeli ad oltranza ad un sistema fallimentare. Ossequiosi vigliacchi si riempiono la bocca di leggi, decreti e regolamenti infallibili, riuscendo ridicoli idioti, mentre ci viene in mente, che le loro giusta fondamenta sono state promulgate dalle peggiori canaglie in circolazione.

Mineo, Villaggio degli Aranci.

*Il Villaggio degli Aranci, ex base alloggio per i militari di Sigonella della parmense Pizzarotti è adesso il Villaggio della Solidarietà modello di accoglienza per tutta l’Europa. Il campo che ospita fino a 2000 richiedenti asilo politico è  recintato, monitorato e telesorvegliato 24 ore su 24, molto distante dal tessuto cittadino, privo di qualsiasi servizio per i migranti conta 200 forze dell’ordine e 100 militari schierati secondo un patto per la sicurezza stipulato tra il governo e le autorità dei comuni limitrofi. La retorica governativa parla di solidarietà mentre  sono già centinaia ad essere scappati da quello che sembra più un moderno campo di prigionia che un esempio di  integrazione.
**  Come ad esempio il sindaco di Mineo, che appena ricevuta notizia che nel Villaggio degli Aranci, ex base alloggio per i militari di Sigonella della parmense Pizzarotti, sareberro arrivati qualche migliaio di richiedenti asilo politico, ha mostrato subito la sua preoccupazione per la possibilità che i suoi cittadini venissero derubati delle arance, preziosa risorsa del territorio. Per non parlare del presidente delle regione Sicilia Raffaele Lombardo che preoccupato per un casale che ha in zona ha chiesto retoricamente se bisognasse armare di fucili gli abitanti del luogo.
***Stupisce poi l’apprensione delle autorità trapanesi per la tendopoli che posta in località Kinisia sarebbe stata dannosa alla salute dei migranti perchè posta in vicinanza di terreni contaminati da amianto, quando prima non si sono mai fatti problemi per avvelenare la loro stessa popolazione.
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Spunti di riflessione controemergenziali

È inutile negarlo, gli italiani accettano di trascorrere la loro vita passando da un’emergenza ad un’altra, mettendo di buon grado la propria autonomia nelle mani delle oligarchie politico-finanziarie. Allo stesso tempo essi non si risparmiano dall’esportare libertà in altri paesi, quando nel proprio, senza neanche troppo esagerare, quella poca che è rimasta riguarda solo a quale personaggio della televisione destinare il televoto. L’emergenza prodotta dalle rivolte nordafricane sembra svelare, come se bucasse solo per la prima volta una densa cortina di omertà, e ammettere che per decenni un manipolo di dittatori ha flagellato i propri paesi, considerando questi come semplici bacini di risorse per un bieco arricchimento personale, trovando preziosi e altrettanto incommentabili partner in occidente (vedasi ad esempio ENI e Finmeccanica). Grazie alle emergenze ci si rende conto che Gheddafi, da migliore amico dell’Italia, è invece un nazista in salsa araba, o che l’energia nucleare può realmente mettere a rischio la salvaguardia della vita sulla terra. Solo a causa di un terremoto, come quello dell’Aquila, si è iniziato a capire, con difficoltà e molto a rilento, il graduale processo di militarizzazione del territorio, un piano che invece sembra essere perfettamente allineato con i nuovi fronti di guerra interni che si vengono a creare sempre più frequentemente.

Ipocrita, a dir poco, è credere che prima di un’emergenza non esistano già i motivi da essa messi in evidenza. Da anni Gheddafi, ad esempio, ricopre il ruolo di boia per migliaia di africani, i quali hanno subìto le torture dei suoi carcerieri, ligi controllori delle sponde libiche. E di certo queste nefandezze non hanno neanche lontanamente minato alcun accordo economico o politico tra Italia e Libia, visto che non sono mancati, ahinoi, numerosi balletti mediatici da una sponda all’altra del Mediterraneo.

Dinnanzi all’emergenza in corso, l’ultima in ordine di tempo, giornali, pagine web e schermi televisivi si riempiono di incitamenti xenofobi, risoluzioni belliche e proposte di stampo fortemente autoritario. Ad esempio mettere delle taglie sulla testa dei tunisini, che poi è la traduzione, privata della maschera giornalistica, delle migliaia di euro promesse per ogni rimpatrio di un cittadino tunisino.

Se da un lato l’emergenza riguarda gli immigrati clandestini, dall’altro non manca quella prettamente specifica dei richiedenti asilo. Nulla di nuovo, dividere ed etichettare d’altra parte è insito nella natura dello stato, nel tentativo di frammentare e dunque indebolire i potenziali pericoli che potrebbero nascere da momenti come quelli che stiamo vivendo. Rimpatriare o lasciare affondare barconi di clandestini potrebbe anche essere la prassi, ma di certo il tema del diritto d’asilo tocca maggiormente i cuori degli italiani, sempre attenti a curare il proprio orto umanitario. Come d’incanto, il richiedente asilo, solo in quanto persona inseritasi all’interno di un circuito burocratico e dunque monitorabile, diventa una risorsa per le istituzioni, come ad esempio per tutti i comuni che si dicono lieti di accettarli nelle loro città, stando ben attenti a fare il contrario per i semplici clandestini. Ma fermiamoci un attimo a riflettere, pensiamo davvero che la condizione di rifugiato politico sia l’espressione di un atteggiamento solidale da parte dello Stato, dell’Unione Europea o dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite? Sicuramente ambasciatori della pace come Giorgio Armani ed Angelina Jolie non vedono l’ora, quando invitati a succose occasioni di gala, di poter manifestare la propria solidarietà alle migliaia di sventurati in fuga dai loro paesi, il tutto al prezzo di qualche fotografia e di un po’ di pubblicità che non guasta mai.

Non c’è da stupirsi se molti clandestini, pur potendo fare domanda d’asilo, si rifiutano di inoltrarla al fine di non venire risucchiati nella mostruosa macchina burocratica che aspira a controllarli continuamente. E’ proprio questo l’atteggiamento delle migliaia di harragas, letteralmente “coloro che bruciano” (le frontiere), nordafricani immigrati in Spagna, come i sans papiers in Francia, che scelgono di riappropriarsi della propria vita, bruciando quei documenti tanto cari invece a noi occidentali. Una carta di identità tenuta nel portafoglio, un passaporto dalle caratteristiche sempre più tecnologiche, oggetti che hanno il potere di trincerare le frontiere, rendendone impossibile il passaggio a chi non è nato nell’Unione Europea.

Bisogna avere il coraggio di ammettere che non esiste rifugio, non esiste riparo che sia offerto dalle istituzioni, non esiste per gli immigrati e non esiste nemmeno per chi non lo è. Nessuno è al riparo se viene deportato in un centro d’accoglienza per rifugiati, in una tendopoli o in aberranti cosiddetti villaggi della solidarietà. Come non lo è l’uomo occidentale che si tiene stretto il proprio posto di lavoro al prezzo di non poter mai affrontare pienamente l’unica vita a disposizione.

Nessuna delle vicende sopracitate è un’emergenza, neanche lontanamente. Al massimo le si potrebbe definire consapevolezze volutamente messe in soffitta, sperando che questa non si riempia troppo in fretta, diventando inutilizzabile. I formalismi e le trappole burocratico-istituzionali hanno il potere di sventare gli spiragli di sovversione, seppur pagando altissimi prezzi, come parzialmente è accaduto nel Nord Africa.

Se dunque l’emergenza non ha senso di esistere, di senso ne hanno, e pure molto, gli scenari rivoluzionari che si potrebbero configurare nel presente o al massimo nell’immediato futuro. L’emigrazione di massa simboleggia il fallimento di un intero sistema di produzione e di sfruttamento delle risorse naturali, essa però potrebbe anche accentuare il livello di crisi odierno, accelerando il declino dell’attuale stato di cose.

Basta con la semplice ricerca di un rifugio, con i compromessi umanitari e con la logica della mera sopravvivenza. L’unica guerra che appoggiamo è quella contro i nostri sfruttatori e le loro sentinelle, sono loro ad aver cura che le frontiere rimangano ben controllate e che la miseria sia ben distribuita tra le fasce sociali più svantaggiate. Non c’è motivo, se mai ve ne è stato qualcuno, di aspettare mirabili condizioni perfette o congiunture particolari, è il momento di cercare o di ritrovare tutte quelle affinità che si sono credute perdute, abbandonando quel comodo approccio parziale che ha caratterizzato le ultime lotte.

Di contro sosteniamo e condividiamo totalmente le azioni di chi vuole rendersi emergenza in prima persona nei confronti dello status quo, rappresentato dall’egemonia istituzionale. Al fianco di chi, dovunque si trovi, ha scelto di agire contro le gabbie dell’esistente, subendo la puntuale repressione poliziesca. La criminalizzazione delle relazioni tra compagni, amici e familiari sembra ormai essere un punto forte della controffensiva statale, si vedano i casi dei compagni detenuti in Cile, in Grecia e in Svizzera, nonché gli ultimi arresti dei compagni bolognesi del Fuoriluogo. I giornali sporcano le proprie pagine, i pennivendoli calpestano ogni briciola di dignità rimastagli e al grande pubblico viene servito un piatto delizioso, assai gustoso per gli assidui divoratori di gossip. Ci rifiuteremo fino all’ultimo di esser complici d’una società autoritaria, la stessa che ci affibbia presunti leader o capipopolo, figure di cui non abbiamo assolutamente bisogno. Riprendiamo quindi a cercare quelle affinità, forse perdute o coperte di ruggine, che stanno alla base dei rapporti tra uomini e donne in una guerra costante contro l’esistente.

 

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Sabato 16 Aprile @ Cpo Experia via verginelle CT

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Mappa dei CIE in Italia e delle strutture per migranti in Sicilia

 

MappaCIE

Strutture per migranti in Sicilia

 

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Un passo avanti

alcune considerazioni dopo la manifestazione del 14 dicembre a Roma

Si accende lo schermo, ma cambiare canale è inutile, a reti unificate va in onda il solito lavaggio del cervello. Una passerella d’idiozie che deve ricucire lo strappo tra la società reale e quella patinata vetrina che è il sintetico mondo della televisione, un mondo se non perfetto comunque facile da correggere, un mondo che non ha differenze se non sfumature, un mondo intero creato per venderci qualcosa: un prodotto, un’idea, un intero stile di vita se non addirittura una personalità. In tutto questo continuo brusio, dove toni alti si mescolano con toni bassi, si riesce a cogliere un mantra. “2000 infiltrati”, “violenti venuti dalla Grecia, Germania, Francia..”, “falsi manifestanti”, “professionisti della violenza”,  “provocatori al servizio di qualche potere deviato”, “la violenza fa il gioco del governo”, “poche centinaia d’idioti hanno nascosto i motivi reali della protesta ” ecc.ecc. È illuminante vedere come la stessa identica linea di pensiero unisca La Russa con Saviano, Augias con una qualsiasi soubrette, un qualsiasi calciatore con un qualsiasi giornalista; tutti uniti contro la violenza, tutti uniti a stigmatizzare quello che è successo, pronti a gareggiare e a togliersi la parola per riuscire più efficaci, per risultare i primi baluardi nella lotta contro l’incappucciato nemico. Deve essere proprio potente sto nemico per creare di fatto una così compatta unità nazionale.
Certo perché il nemico sembra essere la realtà, la realtà violentata, la realtà nascosta in soffitta, imbavagliata e soffocata, una realtà annegata a cui non riesce più di uscire la voce, una realtà che quando riesce ad emergere lo fa come può, disperata si dibatte e sgomita, tragicamente colpisce chi reputa suo nemico e lo fa con tutta la forza che ha, perché sa che solo così può salvarsi.


“Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato.”

G. Orwell

Vorrebbero innanzitutto darci a bere che la “sconvolgente” giornata di scontri a Roma sia un evento che esce fuori dal nulla, un evento che non ha precedenti recenti e non ha legami con gli altri avvenimenti del paese, probabilmente modificando così la realtà si spera che tutto torni nel nulla. Forse conviene rinfrescare loro la memoria.
All’ Aquila speculazioni, affari sporchi e negligenze hanno dato man forte al terremoto nel vessare una popolazione stremata dalle difficoltà, qui una testimonianza dell’incubo da cui tentano di uscire.

“La disoccupazione nel territorio aquilano, già molto elevata prima del terremoto, ora ha raggiunto livelli insopportabili per un tessuto sociale così profondamente diviso e sparpagliato tra un presente di tendopoli e alberghi-ghetto e un futuro di new town. […] I prodotti locali dell’agricoltura e dell’allevamento, inutilmente offerti alla Protezione Civile per il consumo nei campi, rimangono invenduti e devono essere distrutti. Sono le grosse catene di distribuzione e non i piccoli produttori indigeni a guadagnare dall’emergenza. Nelle tendopoli gli sfollati non hanno certo diritto di scelta e, mentre nelle stalle abruzzesi i vitelli invecchiano e il latte deve essere gettato, nei campi la minestra è sempre quella del cibo in scatola o surgelato, di dubbia provenienza e inesistente genuinità, probabile concausa della recente epidemia di dissenteria. […] L’Aquila è ormai una città assediata dalla burocrazia [l’infernale macchina del DICOMAC: Direzione di Comando e Controllo, l’organo di coordinamento nazionale delle strutture di Protezione Civile nell’area colpita] e dalla militarizzazione […]. Nelle tendopoli le uniche assemblee popolari consentite e incoraggiante, quando non direttamente indette dal capo-campo della Protezione Civile, […] sono quelle per simulare la libera elezione dei responsabili civili per la sicurezza, ossia i kapò. Un kapò per ogni etnia per meglio controllare ogni comunità, praticamente scelto dal capo-campo in cambio di condizioni privilegiate nella tendopoli stessa”

http://www.informa-azione.info/abruzzo_diaro_comunicato_dallabruzzo http://www.informa-azione.info/abruzzo_diario_comunicato_dallabruzzo_2

Già nel Febbraio scorso alcuni aquilani avevano incominciato a sfondare zone rosse fronteggiando le forze dell’ordine e sfidando il governo,  per molti di loro la situazione di disagio e rabbia continua ad essere immutata.
Nel napoletano dove lo Stato s’intreccia alla camorra, la gente in un impeto di rabbia si è sollevata contro i due poteri, per una battaglia in difesa della propria vita e del proprio futuro, una battaglia che sfonda, nell’unico modo che gli è rimasto, il muro d’indifferenza che ormai li circonda da anni.

“Intorno alla metà di settembre, l’assessore regionale all’ambiente, Gianni Romano, dichiara l’intenzione di aprire una nuova discarica nel Parco nazionale del Vesuvio, cava Vitiello, a soli 500 mt dalla ormai colma cava SARI. Quest’ ultima, che aveva smesso di funzionare nel 1995 dopo aver ingurgitato per oltre 20 anni ogni genere di monnezza, era stata riaperta nello scorso 2009 su ordine di Bertolaso, ovviamente senza nessun tipo di bonifica né di analisi. Ricordiamo che già nel 2007 il governo Prodi, nella persona dell’allora ministro all’ambiente Pecoraro Scanio aveva già individuato quei luoghi come possibili sversatoi, sia la già attiva cava SARI, sia cava Vitiello.
Di fronte a questa dichiarazione gli abitanti della zona, che già da anni portano avanti lotte contro la devastazioni del loro territorio, si riversano nelle strade e danno vita al presidio per­manente alla rotonda di via Panoramica, crocevia dei paesi di Ter­zigno, Bosco­reale e Bosco­trecase, a soli 500 mt dalle due cave. Nel giro di pochi giorni la ten­sione sale e le notti vengo­no illuminate dai bagliori della rivolta: vengono attuati blocchi stradali per impedire ai mezzi di sversare nelle cave e bruciati numerosi autocompattatori. La polizia risponde con violente cariche nelle quali sono coinvolti anche bambini e i lacrimogeni rendono soffocante l’aria già irrespirabile per i fetori di cava SARI.
Alle cariche notturne si aggiungono intimidazioni, perquisizioni,controlli, fermi e arresti effettuate tutti i giorni dai solerti tutori dell’ordine; nono­stante innumerevoli tentativi di reprimere la rabbia e di sedare gli animi, le rivolte non cessano e per lunghi giorni i fuochi d’artificio vengono usati per tenere lontani celere e blindati e bruciano macchine e anche il tricolore, segno evidente del fatto che nessuna istituzione avrebbe potu­to imporre compromessi.[…] . È importante notare che, nonostante numerosi tentativi dei media e dei politici il movimento antidiscarica non ha ceduto alla divi­sione ormai abusata tra “buoni e cattivi”, tra pacifici e belligeranti, ma più volte ha rivendicato la pluralità delle sue voci e anche la determina­zione di chi, esasperato dalle condizioni disumane di vita, non rinuncia all’azione diretta per difendersi e restituire al mittente la violenza subita quotidianamente.”

http://arraggia.noblogs.org/files/2010/12/miccianovembre010.pdf

Sono 20 anni che in Campania esiste un emergenza rifiuti, ma solo in  questo Ottobre, grazie alla coesione e alla tenacia, i manifestanti sono riusciti ad ottenere una piccola vittoria che è una grande luce di speranza per tutti: la cava Vitiello è stata chiusa a tempo indeterminato.
Non ci soffermeremo molto a parlare della situazione dei migranti su cui tanto abbiamo scritto, ma qui impossibile non ricordare alcune cose fondamentali. Le condizioni disperate a cui sono sottoposti  i migranti irregolari sono divenute insostenibili, spinti ai margini e impossibilitati a condurre una vita dignitosa, hanno oltrepassato la soglia che li costringeva a mantenere un profilo basso, a muoversi impauriti, nascosti nei coni d’ombra della società per uscire allo scoperto con la rabbia e la disperazione di chi non ha più nulla da perdere. La rabbia cieca di Rosarno da eccezione potrebbe trasformarsi in consuetudine, lo dimostrano i lunghi presidi ad oltranza, sopra le gru, nel freddo inverno padano dove i sans-papier hanno sfidato la morte e la carcerazione dimostrando agli italiani solidali, accorsi sotto, come la tragica situazione per essere combattuta ha bisogno di gesti radicali.
La precarietà della vita e il malcostume della politica hanno toccato anche gli studenti, che ciclicamente svolgono lotte destinate ad esaurirsi in una stagione, ma che stavolta sentono un disagio pressante per il futuro che li attende, un disagio forse talmente forte da scavalcare il qualunquismo che solitamente regna incontrastato nella routine del ciclo formativo.

“Nelle ultime settimane le piazze e le strade di tutta Italia sono tornate a riempirsi. Manifestazioni, occupazioni, blocchi stradali. Stazioni, autostrade e princi­pali arterie della circolazione bloccate per ore a ripetizione, in moltissime città. Giovani e meno giovani scendono in strada al motto di “se ci rubano il futu­ro noi blocchiamo le città”. Tra gli sguardi, le voci e le azioni, comincia a ser­peggiare, debole ma sempre meno isolata, l’idea che il futuro che i potenti vorrebbero riservare a tutti noi semplicemente faccia schifo.
Gli effetti della crisi incidono già nel nostro presente, le misure governative per contenerla ed evitare collassi finanziari si accaniscono contro i più po­veri. Le nostre vite stanno sprofondando nella precarietà e la risposta dello Stato è unicamente quella di mettere ogni giorno più polizia nelle strade. Il messaggio è chiaro, lo dicono anche i ministri dell’economia: dovete rasse­gnarvi, la dieta di domani prevede “lacrime e sangue”. Infatti basta guar­dare al di là dei nostri confini per capire che, dalla Grecia al Portogallo, dalla Francia all’Irlanda, la nostra condizione è comune a milioni di persone. Nes­suna anomalia italiana quindi: l’economia è in crisi e non è prevista “alcuna via d’uscita che non passi attraverso i nostri sacrifici”.

http://www.informa-azione.info/files/assaltiamo%20il%20presente.pdf

Siamo ancora lontani da livelli di coscienza e consapevolezza politica riguardo al sistema sociale e quindi al modo di sovvertirlo, ma sono anche innegabili enormi passi avanti per quanto riguarda le tattiche da utilizzare in piazza e le considerazione sulle lotte che essi stessi svolgono. Non cercare scontri frontali e inutili contro il potere, abbandonare la protesta come spettacolo da dare in pasto ai media ma piuttosto creare disagio al sistema. Bloccare flussi, didattica, strade, e punti nevralgici della viabilità*  sapendo consapevolmente che non si abbisogna di lotte di massa, ma che sono ugualmente, se non più, efficaci piccoli gruppi convinti della forza delle proprie idee. Si fa anche strada l’idea che anche le maggioranze non hanno fisiologicamente ragione per il solo motivo di essere maggioranze e di conseguenza si comincia a praticare l’autorganizzazione delle lotte, che cerca più responsabilità individuale e allontana la becera direzione che le organizzazioni giovanili dei partiti attuano, egemonizzando le proteste studentesche per i loro malcelati fini di potere.

«Il reale è quello che vede la maggioranza.»

J.L. Borges

Per chi ha gli occhi per vedere, il cervello per criticare, ma sopratutto il cuore per comprendere, emozionarsi, immedesimarsi, indignarsi e arrabbiarsi la situazione è molto chiara.
Lo Stato in crisi serra le fila, appiattisce le differenze e sferra attacchi tesi a dividere il nemico, in modo da indebolirlo e disperderlo. Non è una tattica nuova, esempio eclatante viene dal G8 di Genova 2001 dove il cosidetto movimento no-global cadde nella trappola diventando il peggior nemico di se stesso e relegando questo paese a nove anni di silenzio. Nove anni in cui l’unica voce posibile da sentire era quella dei media, nove anni di sonno della ragione, nove anni in cui non è esistita nessuna opposizione reale al sistema, nove anni in cui la regressione delle pratiche di lotta è stata talmente forte, non solo da smontare prassi consolidate e considerate normali nelle opinioni comuni, ma ha contribuito a privarci di conquiste sociali che davamo già per scontate, portandoci sull’orlo dell’abisso sociale. Dovremmo quindi credere che una guerriglia durata tre ore che ha portato a 56 feriti tra le forze dell’ordine sia stata condotta da addirittura ben 2000 infiltrati? Piena di violenti che si sono scomodati a venire da altre nazioni, come se non avessero già abbastanza da fare nei loro paesi?
Malauguratamente è vero che nei grandi cortei è impossibile che gli agenti in borghese non si mischino tra la folla, ma dovremmo forse rilasciare dei documenti di reale manifestante a chi ha espresso in modo educato e corretto il proprio disagio, magari facendo domandine a saltare per verificare la preparazione sull’argomento oggetto della protesta? Oppure, in perfetta tradizione italiana, dovremmo trovare, dietro fatti comprensibili e chiari nelle sue origini, svolgimenti ed evoluzioni, trame oscure e dietrologie dal sapore misterioso? Chi sarebbero i professionisti della violenza? Quelli scalcagnati con fazzoletti e vecchi caschi che lanciano pietre mentre brandiscono manici di scopa, o quelli in uniforme, in armatura, con scudi, pistole, manganelli, lacrimogeni, mezzi pesanti, addestrati e pagati per reprimere fisicamente?
Ridicoli luoghi comuni, sciocchezze dalla evidente falsità che ripetute e sbandierate centinaia di volte prendono la grottesca forma di verità per milioni di teleascoltatori.

“I politici hanno una loro etica. Tutta loro. Ed è una tacca più sotto di quella di un maniaco sessuale.”

W.Allen

Da che pulpito poi vengono le prediche e gli scandali? Da quei campioni di moralità che sono i politici, gente che per la brama di potere corrompe, crea leggi personali o per la propria casta, indifferenti alla sofferenza della gente, derubano e mistificano. Gente che si sfrega le mani di fronte a sanguinosi eventi, che fa della bugia un solido metodo su cui costruire le proprie convenienze, gente che vieta le droghe e poi ne fa regolare uso, gente che criminalizza la prostituzione per servirsene privatamente, gente che si fa baluardo delle pari opportunità per poi svilirle appena apre bocca, antirazzisti un giorno l’anno, persecutori del diverso e dello straniero altri trecentosessantaquattro. Iene attaccate alle poltrone e assetate di quattrini che piuttosto di farsi togliere una briciola del loro potere non esiterebbero un secondo a farci schiacciare da un carro armato. Dovremmo credere agli intellettuali delle tv  o ai sedicenti giornalisti, ruffiani, che passano il tempo ad ingraziarsi ed osannare i padroni del paese, servili fino al disgusto, creatori di menzogne, abitanti di un mondo falso, ricco e sfarzoso da dove ci bacchettano e istruiscono con fare saccente.

“Ma la sorti nun è ostia un è grazia di li santi si conquista cu la forza nta li chiazzi e si va avanti.”

R.Balistreri

Impossibile non notare nell’immobilità sociale e nel sonno del conflitto che, seppur in modo ancora contenuto, qualcosa sotto si muove. Cambiano non solo tattiche e modus operandi del dissenso ma la crisi sociale ha incominciato a logorare i portafogli e con essi, le coscienze più assopite. Adesso sono occhi meno incantati e orecchie più attente ad ascoltare le parole di chi pensa che un sistema del genere, basato sullo sfruttamento e sul tacito consenso, ci stia portando sull’orlo di un baratro. Pian piano cade la maschera del potere, adesso i politici e gli imprenditori pescecani sono nudi, finalmente svelati come ipocriti sciacalli senza alcun scrupolo ed etica che lottano per mantenere potere e privilegi. Ma non rallegriamoci, questo scollamento deriva da un conflitto che è in realtà tutto interno al potere e punta ad una nuova spartizione di esso. Le crepe aperte nel panorama politico sono portate alla luce essenzialmente dai media mainstream che in modo interessato hanno pompato scandali, che son già divenuti consuetudini e proprio in virtù di questo, in breve (come l’informazione asservita sa fare benissimo, li cancellerà totalmente dalle nostre menti con la sovraesposizione mediatica di altre questioni più futili) verranno dimenticati per dar spazio a nuove cialtronerie che perpetuino lo stato delle cose. Ovviamente non sarà una lotta intestina tra chi comanda il sistema-paese a portare cambiamenti, non dobbiamo farci trasportare inebriati dal rivoltoso vento di scirocco che spira dal nordafrica, ma farne tesoro. Soltanto la volontà indomabile di chi è messo alle strette, potrà strappare dalle poltrone i loschi individui che ci comandano per poi  bruciar quelle stesse poltrone impedendo che nuovi oppressori se ne impossessino. C’è realmente uno sforzo da fare, se si vuol uscire dall’intollerabile situazione d’ impotenza in cui siam relegati, ad esempio bisognerebbe che gli studenti si concentrassero non solo su una riforma da contestare ma sulla critica di un intero sistema di formazione che è diretto e orientato esclusivamente dall’economia per l’asservimento intellettuale. Oppure che gli immigrati non s’accontentassero di criticare sanatorie truffa o a chiedere semplicemente il permesso di soggiorno, ma si battessero per la libera circolazione degli individui, che gli operai non si limitassero a difendere il loro posto di lavoro ma senza deleghe cercassero di conquistare la loro emancipazione, che i comitati locali non chiedessero lo spostamento di una discarica, la chiusura di un termovalorizzatore, la non costruzione di un opera faraonica ma lottassero per un nuovo modo di vivere lontano dal consumismo capitalista e dalle nocività che esso inevitabilmente crea. E’ ora di alzare lo sguardo ognuno dal proprio orticello, tutti quelli che non si accontentano solo di apportare piccole correzioni ad un sistema di sfruttamento che nella sostanza non puo cambiare, ma che chiedono altro, che non accettano questa realtà e che la vogliono modificare sostanzialmente e realmente è ora che smettano di ascoltare le sirene mediatiche, le scuole, le università, i dirigenti, i sindacati, i partiti, gli intellettuali che tenteranno in ogni modo di recuperare quella piccola frattura che si è venuta a creare in questi mesi. E’ ora di trasformare questa frattura in una lacerazione insanabile, è ora di fare un passo avanti tutti insieme, per spingerci oltre ogni definizione conosciuta e farla finita con questo antico, ipocrita lugubre sistema.

PER L’ANTIAUTORITARISMO, L’AUTOGESTIONE , LA SOLIDARIETA’ ATTIVA.

*http://labottiglieria.noblogs.org/post/2010/11/26/della-riforma-non-cene-frega-un-cazzo-vogliamo-che-esploda-la-sommossa-generalizzata-ovunque/

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Due anni per due petardi

La legge è forte, ma è più forte la necessità” Johann Wolfgang von Goethe

A due anni di distanza lo Stato, con i suoi lunghi tentacoli repressivi, torna ad interferire con la vita di chi ha ritenuto necessaria la pratica dell’azione diretta per esprimere il proprio rifiuto verso l’istituzione, nel caso specifico una caserma dei vigili urbani di Parma. Proprio quei vigili saliti alla ribalta della cronaca per aver picchiato selvaggiamente Emmanuel Bonsu, giovane immigrato ghanese, dopo averlo visto mentre leggeva seduto su un prato. Adesso la repressione torna ad alitare sul collo di Peppe, il quale, senza scendere a patti col nemico, ha deciso di rifiutare la strada del patteggiamento e adesso sono due gli anni di pena comminatigli dalla Corte d’Assise, nella figura dei magistrati Eleonora Fiengo e Gennaro Mastroberardino. Al fianco di questi due diligenti esponenti della magistratura nostrana non mancano sei cittadini, rappresentanti di una giuria popolare dal sapore statunitense, escamotage tornato in auge grazie alla fervida mente del premier Berlusconi, al fine di avvicinare il cittadino alle istituzioni ovverosia rendendolo partecipe del meccanismo repressivo con il ruolo di boia, come se quelli togati non bastassero. Chissà poi chi avrà provato questo “pubblico timore in orario notturno”, visto che nella piazza dove sono esplosi dei banalissimi petardi (materiale esplodente o ordigno sono parole che, dette da un giornalista, hanno sicuramente un impatto più incisivo nei confronti di uomini ormai relegati alla lobotomizzazione mediatica), sicuramente non gli occupanti della caserma stessa, edificio che distava diversi metri dal luogo dello scoppio. Tutto ciò è costato agli accusati mesi di carcere, di isolamento e regimi di sorveglianza speciale, almeno il saperli tutti fuori ci conforta. Lo sappiamo bene, vi sono leggi ed aggravanti per tutto e il diritto, per sua stessa natura, mira alla perpetuazione dello status quo, non può certo concordare con un gesto solidale e dimostrativo finalizzato ad esprimere vicinanza con la vittima del pestaggio e odio verso i repressori. A questi, Peppe non ha voluto elemosinare nulla, nemmeno durante i mesi di prigionia, dove ha sempre fatto sentire la propria voce e ha mantenuto una condotta fiera, nonostante tutto. Come anarchico non ha sentito il bisogno di cercare attenuanti o cavilli legali per alterare la sua posizione, rivendicando apertamente quanto fatto. E se la legge è sì forte, lo è di più la necessità, quella di non scendere a compromessi con i propri aguzzini e soprattutto di combatterli senza sosta.

Alcuni anarchici catanesi

Appunto: si precisa che nessuno degli imputati e delle imputate in questo processo ha scelto il patteggiamento

Per saperne di più sui fatti di Parma -> http://www.informa-azione.info/raccolta_solidarieta_sui_fatti_di_parma e http://www.informa-azione.info/riguardo_i_fatti_di_parma_del_20_ottobre_08_0

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La pazienza è finita

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Contributi per la stesura di un necrologio del riformismo scolastico ( e non )

«Di cosa ci lamentiamo infine quando prendiamo in esame i difetti della nostra formazione scolastica contemporanea? Del fatto che le nostre scuole si basano ancora sul vecchio sapere privo di volontà. Il principio giovane è quello del volere, quale sublimazione del sapere. Quindi, nessun concordato tra la scuola e la vita, ma che la scuola sia vita e che là, come altrove, il suo compito sia quello dell’autorivelazione della persona. La formazione generale dispensata dalla scuola deve essere una formazione per la libertà e non per la sottomissione: essere liberi, è questa la vita vera.»[1]

«Le bocche si aprono in grida stizzose di protesta, gli occhi attingono nella sfida il bagliore di entusiasmo che è loro rifiutato. Così i movimenti di contestazione periodicamente risvegliati dalle direttive di istanze burocratiche e governative scadono – per assenza di creatività – nello stesso grigiore e nella stessa stupidità del potere inconsistente che li ha provocati. Che ci si può aspettare da manifestazioni gregarie in cui l’intelligenza degli individui, in mancanza di un progetto di cambiamento radicale, si riduce, secondo il comune denominatore delle folle, al più basso livello di comprensione?»[2]

Risuonano ancora in queste ore gli echi della protesta del mondo scolastico e universitario italiano e inglese. Per le strade migliaia di giovani, e non solo, reclamano diritti e garanzie riguardanti il proprio futuro. I temi caldi sono l’istruzione pubblica, l’abbassamento delle tasse universitarie, il caro-libri e la richiesta di fondi maggiori per finanziare l’enorme mostro didattico-burocratico della cultura accademica. Incuranti del rischio di passare per perenni scontenti, nichilisti e provocatori d’ogni sorta, crediamo che questa massa non faccia altro che vedere migliaia di dita protese verso il cielo, magari alzate per invocare la clemenza delle forze dell’ordine, e, crogiolandosi di questa mirabile vista, dimentica totalmente la possibilità che in cielo via sia la Luna, che vi sia cioè la possibilità di scegliere un’alternativa radicale all’esistente. Analizzando la genealogia dello stato, e delle sue istituzioni satellite, abbiamo capito senza troppe difficoltà che l’apparente invincibile Leviatano non va né accudito né tanto meno riverito col più triste dei servilismi. Esso va abbattuto, una volta per tutte, e di lui deve rimanerne solo un monito, quello che ci ricorda cosa significa, nella pratica di tutti i giorni, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Si reclama dunque una controriforma, autogestita e proveniente dal basso, senza avere il coraggio di compiere quel balzo in avanti per mettere sotto la lente della critica l’intera istituzione scolastico-universitaria. Solo così risulterebbe chiaro che la scuola, tanto quanto il lavoro e il carcere, è uno dei pilastri portanti del controllo quotidiano delle nostre vite, anzi essa appare ancora più pericolosa in quanto ha la facoltà di operare già nei primi anni di vita dei giovani, avvolgendo questi nella sua morsa per altri decenni a seguire.

La scuola rappresenta infatti la prima tappa del triste percorso finalizzato all’incameramento di concetti quali la gerarchia, l’alienazione e la soppressione dei propri istinti, incameramento che non è più fortemente autoritario ma subdolo, capace di trasmettere un’idea benevola di gerarchia, come fosse la soluzione ad ogni problema sociale.
La scuola viene rappresentata come la via obbligata per maturare indipendenza, soprattutto intellettuale, e meritare così le chiavi del proprio futuro. Siamo dunque a favore dell’ignoranza? Diciamo meglio, siamo per la chiusura di uno dei grandi serbatoi umani dal quale il Capitale risucchia quotidianamente carne umana, utilizzandola nei modi che più gli tornano proficui.
In questo modo la scuola si configura come un vero e proprio laboratorio, un nefasto gioco di ruolo, all’interno del quale sperimentare, già da ragazzi, le dinamiche gerarchiche che poi saranno predominanti all’interno di altri contesti come il lavoro. A tal proposito scrive Raoul Vaneigem : «Ecco quattro muri. Lì il consenso generale decide che, con ipocriti riguardi, vi saremo imprigionati, costretti, colpevolizzasti, giudicati, onorati, puniti, umiliati, etichettati, manipolati, vezzeggiati, violentati, consolati, trattati come aborti che questuano aiuto e assistenza. Di che cosa vi lamentate? Obbietteranno gli autori di leggi e decreti. Non è forse il modo migliore di iniziare i novellini alle regole immutabili che reggono il mondo e l’esistenza? Senza dubbio. Ma perché i giovani dovrebbero ancora accontentarsi di una società senza gioia e senza avvenire, che gli stessi adulti sopportano ormai rassegnati, con un’acrimonia e un malessere crescenti?»[3]Adesso rispondiamo alla domanda posta poco sopra, siamo forse per l’ignoranza? Stavolta rispondiamo che è la stessa istituzione scolastica a farsi portavoce dell’ignoranza più becera, tempestando gli studenti di nozioni e propugnando una cultura che è schiava del rapporto tempo-studio, reificato nel mostruoso concetto di credito formativo, ennesima aberrazione del mondo accademico. In una macabra dialettica con la classe docente, l’alunno deve restituire, preferibilmente senza appoggio critico, tutto il bagaglio ideologico imparato al fine di guadagnare “l’uscita di prigione”, evitando così la bocciatura. Che gioia, la scuola e il tribunale si vengono affettuosamente incontro! Esami e interrogazioni vengono fatti passare come sincero interesse per la valutazione della cultura dell’alunno quando invece sono un mero strumento di demarcazione tra promossi e bocciati. Diffidiamo anche della scuola dai connotati democratici[4], dove gli studenti sono invitati a sentirsi parte di un decidere collettivo, di una didattica apparentemente vicina a loro solo sulla carta. Anche gli studenti, così come tutti i prigionieri, dovrebbero stancarsi di riessere rieducati e dovrebbero una buona volta aver voglia di rieducare i propri rieducatori, citando liberamente una famosa strofa di una canzone punk hardcore. Neghiamo con forza la connotazione positiva di un sapere impartito da un docente, il quale viene a buon diritto definito da Vaneigem come «colui che porta nel suo cuore il cadavere della propria infanzia e che non educherà mai nient’altro che delle anime morte»[5]. Non va infatti dimenticato il ruolo del docente, o del professore accademico, il quale volontariamente relega in un angolo buio la propria creatività e i propri desideri, sottostando a normative ministeriale e a dinamiche didattiche preimpostate. A questo punto non possiamo che prendere le distanze dalla schizofrenia di chi si sgola nel proclamare la lotta contro la mercificazione del sapere, difendendo poi un’istituzione, come quella scolastica, che proprio sulla mercificazione della conoscenza, in quanto tentacolo del sistema capitalista, ha gettato le proprie basi. E’ stata la stessa Commissione Europea che, nel 1991, ha stabilito un riassetto dell’università in chiave economica, considerandola alla stregua di un’impresa come tante altre che si affacciano sul mercato. Così gli studenti si trasformano in clienti e perciò risulta possibile aggiungere un’altra tessera allo squallido mosaico mercantile che detta i tempi del quotidiano. Due anni dopo, questa stessa Commissione considera gli alunni della scuola materna come potenziali risorse umane per il settore industriale, ovvero futuri automi aventi il ruolo di esperti dispensatori di merce superflua, preziosissima per la sopravvivenza del Capitale.
«Dopo aver strappato lo scolaro alle sue pulsioni di vita, il sistema educativo si industria per ingozzarlo artificialmente allo scopo di immetterlo sul mercato del lavoro, dove continuerà a ripetere stentatamente il leitmotiv dei suoi anni giovanili fino al disgusto: che vinca il migliore! Vincere che cosa? Più intelligenza sensibile, più affetto, più serenità, più lucidità su se stesso e sul mondo, maggiori mezzi di agire sulla propria esistenza, più creatività? Niente affatto, più denaro e più potere, in un universo che ha usato il denaro e il potere a forza di essere usato da loro»[6].

Rifiutiamo di definire sapere il frutto dell’alienazione di nuove categorie di schiavi, come i docenti a contratto, collaboratori, ricercatori assegnisti e tutte le figure lavorative del mondo accademico generate dall’imperante precarietà economica. Invece di reclamare catene e manette di un materiale più leggero o di definire una retribuzione più cospicua della propria alienazione quotidiana, non dovremmo forse farci interpreti di una critica globale dell’istituzione scolastica, tassello imprescindibile dell’odierno sistema di produzione/sfruttamento?
Ripudiamo lo stupore e il dissenso borghese e benpensante di chi contribuisce alla spettacolarizzazione della protesta, montando interminabili servizi televisivi e giornalistici su atti vandalici nelle scuole o occupazioni di plessi universitari. Altresì comprendiamo benissimo l’istinto distruttore di chi, fin da giovanissimo, si sente a sua volta distrutto quotidianamente a causa delle dinamiche pedagogico-scolastiche. «Noi non vogliamo più una scuola in cui si impara a sopravvivere disimparando a vivere. La maggior parte degli uomini non sono stati altro che animali spiritualizzati, capace di promuovere una tecnologia al servizio dei loro interessi predatori ma incapaci di affinare umanamente la vita e raggiungere così la proprio specificità di uomo, di donna, di fanciullo. Al termine di una corsa frenetica verso il profitto, i topo in tuta e in giacca e cravatta scoprono che non resta più che una misera porzione del formaggio terrestre che hanno rosicchiato da ogni lato. Dovranno progredire nel deperimento, o operare una mutazione che li renderà umani»[7].

Qual è dunque la prassi che più riteniamo opportuna? Quale se non quella di diffondere, come orgogliosi untori, il germe dell’insubordinazione e del rifiuto verso l’esistente, contestando il ribellismo riformista facilmente riassorbibile dagli apparati politici, grazie anche al prezioso supporto dei mass-media tanto cercati da partiti e sindacati studenteschi, alla testa dell’istituzione statale. Su questo sia Stirner che Vaneigem concordano, c’è bisogno di riappropriarsi delle proprie vite ed imparare a mettere queste in cima alle nostre priorità, con tutti i bisogni e le necessità che ci sentiamo vicini. E’ implicito che non si può mettere in discussione l’istituzione scolastica senza fare altrettanto con il suo naturale sbocco, ovvero la schiavitù del lavoro. Ovverosia il premio che tocca ad ogni studente che, in maniera diligente, ha completato il proprio percorso di studi, conquistando poi uno status più o meno elevato nella piramide economica. Ci dissociamo da una continua gara di sopraffazione per accaparrarsi le briciole di un esistente sterile e disgustoso, se ci deve essere una selezione naturale e una competività selvaggia, preferiamo che soccombano arrivisti e prepotenti che affollano i vertici aziendali e i seggi parlamentari. Ci sentiamo affini alle intenzioni dei giovani milanesi che propongono il sabotaggio della loro metropoli, acuti nel considerare la protesta universitaria solo come una scintilla di un fuoco ben più grande, così condividiamo in pieno l’analisi dei compagni genovesi. Ecco dunque la modalità di intervento che più ci sembra adatta per dare il nostro contributo nelle lotte reali che si avvicendano nel nostro quotidiano, sicuramente non quella di fomentare personalismi o di farci fautori di rovesciamenti di questo o quel partito politico dominante.

«La funzione della minoranza anarchica rivoluzionaria dovrebbe essere pertanto quella di trasformare le rivolte spontanee in azioni insurrezionali coscienti. Le prime, motivate da un senso vago e generico di insoddisfazione, di inutilità, di insofferenza, stanno scoppiando e continueranno a scoppiare. Le seconde sono un elemento fondamentale del futuro progetto rivoluzionario»[8].


[1] Max Stirner, Il falso principio della nostra educazione

[2] Raoul Vaneigem, Avviso agli studenti, Nautilus, 1996, p. 13

[3] Ibi, p. 4

[4] Cfr. “Il mondo della scuola” da Esclusi ed inclusi (1985) di A.M. Bonanno

[5] Raoul Vaneigem, Avviso agli studenti, p. 20

[6] Ibi, p. 16

[7] Ibi, p. 8

[8] Alfredo M. Bonanno, Tesi di Cosenza. Il problema dell’occupazione. Per una critica della prospettiva anarco-sindacalista, in “Anarchismo”, marzo 1987, n. 56, pp. 85-88

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